sabato 21 settembre 2013

BENJAMIN BRITTEN: The Serenade

Composta nel 1943, la Serenata fu pensata in seguito al fascino che esercitò Brian, un cornista 22enne della RAF Orchestra, sul compositore inglese Benjamin Britten.
Britten parlò a lungo con lo strumentista, per scoprire tutte le possibilità tecniche del suo strumento a fiato e il Prologo della serenata è proprio un esito di queste discussioni.
Il corno, infatti, suona senza accompagnamento, impiegando solo i suoi armonici naturali, senza l’utilizzo dei tasti.
Peter Evans, nel suo libro The Music of Benjamin Britten (1989), fa notare che questa musica celebra l’ordine naturale di tutte le cose e magnifica un mondo in cui le leggi naturali sono rispettate.
Molti critici sostengono che Britten, per l’atmosfera di questo brano, prese l’ispirazione dal paesaggio del Suffolk. The Pastoral, che costituisce il primo song, presenta un testo del poeta Charles Cotton (XVII secolo), che è proprio una descrizione di questo paesaggio.
In questo primo frammento, il corno suona semplici frasi diatoniche, mentre il tenore solista intona una melodia malinconica.
Il secondo brano è su testo del poeta Tennyson; in esso il corno è utilizzato per citare i corni descritti proprio nel testo poetico.
Edward Sackville-West, amico di Britten, in un articolo per Horizon dichiarò che il tema principale di questo secondo brano era la notte, con le sue ombre che si allungano e i corni lontani al tramonto. La notte, col suo colore scuro, rimanda anche al manto del male, rappresentato proprio dal verme nel cuore della rosa (descritto nel terzo brano) e al senso del peccato.
Il senso di questo peccato è descritto poi, esplicitamente, nella Elegy, in cui il corno che presenta ottave ed intervalli perfetti. Britten introduce, per la prima volta, cromatismi e in poche battute presenta tutte le 12 note della scala cromatica. Il risultato finale è quello di evocare un paesaggio pastorale, stranamente disturbato.
Dopo l’intervento della voce, che ricorda più un recitativo, il corno riprende il suo vagabondaggio tra le 12 note.
Segue il brano che per molti rappresenta un Dies irae o una danza della morte. Si tratta di Dyrge, su un testo del XV secolo, che descrive cosa attende l’uomo dopo la morte.
Il cantante, con la sua melodia acuta, esprime il terrore mortale del giudizio. Viene a questo punto presentata l’invocazione di Jonson a Diana, dea della luna.
L’ultimo brano è una sorta di ninna nanna che conduce all’oblio. Il corno non suona durante l’ultimo brano, mentre ricompare nell’epilogo, fuori scena, e i suoi suoni “naturali” risultano quasi inaccessibili e ricordano una distante memoria dell’innocenza.
Britten scelse anche un settimo brano per questa raccolta su testo di Tennyson: Now sleeps the crimson petal, now the white, che però fu poi abbandonato.

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