Raggio
d’amor parea
nel
primo april degli anni
Ma
quanto bella ell’era
maestra
era d’inganni
Sul
volto avea le rose
le
spine ascose in cor.
vieni,
l’antico amore m’arde le fibre,
ingrata,
vieni, mi mi svena il core,
tiranna
idolatrata,vieni, mi svena, ingrata,
così
morrei d’amor.
Testo e Musica
Nel brano, che presenta una certa
drammaticità, si alternano nobiltà e dolore, attraverso un sapiente uso del
legato e di frasi spezzate, testimonianza della capacità raggiunta ormai da Donizetti nel
padroneggiare le risorse sia armoniche sia melodiche. La melodia fu composta quando Donizetti era ancora studente, ma poi venne
riutilizzata ed inserita nell’opera Ugo
conte di Parigi, nel 1832, e poi anche ne Il furioso all’isola di San Domingo (1833), proprio su libretto di
Jacopo Ferretti, da una commedia anonima su Don
Quixote.
Poeta
Il poeta che compose il
testo da cui trasse ispirazione il compositore lombardo fu Jacopo Ferretti.
Nato a Roma il 16 luglio 1784, egli fu un letterato
estremamente prolifico nei generi più disparati, scrisse anche numerosi
libretti d'opera, tra gli altri per Rossini,
Donizetti, Zingarelli, Mayr, Mercadante e Pacini.
Introdotto precocemente dal padre allo studio della letteratura,
Ferretti, già in giovane età, padroneggiava, oltre al latino
ed al greco antico,
anche l'inglese ed il francese
ed iniziò anche molto presto a verseggiare:
sebbene, intorno ai trent’anni, trovasse impiego presso la manifattura tabacchi
(occupazione che svolgerà praticamente per tutta la vita), ebbe tuttavia modo
di essere uno scrittore estremamente prolifico, spaziando fra i diversi generi,
fino ai più curiosi – dalle lettere d’amore ai discorsi d’augurio e benvenuto;
la sua fama rimane comunque legata ai libretti d’opera, anche se molti di essi
sono ad oggi dimenticati. In tale campo, il suo maggiore successo è senza
dubbio il libretto de La Cenerentola, ossia la bontà in trionfo,
scritto per essere messo in musica
da Gioacchino Rossini. In verità l'opera,
il cui debutto avvenne il 25 gennaio 1817,
ebbe una prima accoglienza alquanto fredda ma, dopo le prime repliche,
altrettanto sfortunate, crebbe rapidamente in popolarità e, anche
internazionalmente, conobbe un successo tanto travolgente da essere preferita
allo stesso Barbiere, almeno per tutto l'Ottocento. Malgrado alla fine
le parole del compositore si avverassero in pieno, la collaborazione fra i due
non andò però molto avanti: Ferretti scriverà per il maestro pesarese un solo
altro libretto la Matilde di Shabran nel 1821. Quantitativamente maggiore
fu invece la collaborazione con il maestro Gaetano Donizetti per cui Ferretti,
fra il 1824 ed
il 1833,
scrisse ben cinque libretti: Zoraide di Grenata, L’ajo nell’imbarazzo,
Olivo e Pasquale, Il furioso nell’isola di San Domingo e Torquato
Tasso. Ferretti aveva sposato una cantante, Teresa Terziani, figlia del -
all’epoca assai noto - compositore Pietro:
la loro casa era quindi ritrovo di poeti e di musicisti fra i quali, appunto,
Donizetti di cui Ferretti, oltre che collaboratore, fu buon amico. Sul versante delle
amicizie letterarie, Ferretti poté vantare non solo l’amicizia ma, in seguito,
anche l’affinità, con uno dei più grandi personaggi della cultura letteraria
romana ed italiana dell’Ottocento: Giuseppe Gioachino Belli – più giovane di sette
anni e suo consocio prima all’Accademia degli Elleni (di cui Ferretti fu fra i
soci fondatori) e poi in quella Tiberina - sarebbe diventato infatti consuocero
di Ferretti, avendo suo figlio Ciro Belli sposato la prima delle tre figlie del
poeta, Cristina (a lei Belli, suocero affezionatissimo, dedicherà l’ultimo dei suoi 2279 sonetti
romaneschi). Proprio da una lettera di Belli del 10 marzo
1852, si desume la morte del poeta dopo “lunghissima
e tormentatissima infermità di 11 mesi e quasi un mese di
aspra agonia”.
Compositore: alcune informazioni fondamentali.
Gaetano Donizetti nacque a Bergamo nel 1797 da una famiglia
di umile condizione, fu ammesso alle lezioni caritatevoli di musica tenute da Johann Simon Mayr
e dimostrò ben presto un talento notevole, riuscendo a rimediare alla modesta
qualità della voce
con i progressi nello studio della musica. Fu proprio Mayr
ad aprire all'allievo prediletto le possibilità di successo curandone prima la
formazione ed affidandolo poi alle cure di Stanislao Mattei. A Bologna,
dove proseguiva gli studi musicali, Donizetti scrisse la sua prima opera teatrale, Il Pigmalione,
che sarà rappresentata postuma, e interessanti composizioni strumentali e
sacre. Ancora il maestro Mayr, insieme all'amico Bartolomeo Merelli, gli procurò la prima
scrittura per un'opera al Teatro S. Luca di Venezia:
andrà in scena Enrico di Borgogna
il 19 novembre
1818. Conclusa
l'esperienza veneziana, il compositore fu a Roma, presso l'impresario Paterni,
come sostituto di Mayr. Successivamente si recò a Napoli per supervisionare
l'esecuzione di Atalia di Mayr, oratorio
diretto da Gioachino Rossini. A Napoli venne assunto dall'impresario Barbaja e debuttò il 12 maggio
del 1822
con La zingara, opera semiseria
su libretto del Tottola. In sala era presente Vincenzo Bellini,
che rimase ammirato dalla scrittura contrappuntistica del settimino. Questo
periodo fu caratterizzato dalle numerose farse. La lettera anonima, andata in scena nel giugno del 1822 al
Teatro del Fondo, attirò l'attenzione della critica, che apprezzò la padronanza
con cui Donizetti affrontò il genere buffo napoletano. Il contratto con
Barbaja lo impegnò per quattro opere l'anno. Il periodo che seguì fu
caratterizzato da un periodo di crisi, che Donizetti superò grazie alla
collaborazione di Jacopo Ferretti, il quale lo aiutò a delineare
uno stile personale. L'amicizia e la collaborazione professionale con Ferretti
durarono a lungo, destando in lui il gusto per la parola e rassicurandolo sulla
possibilità di scrivere libretti anche da solo. Negli stessi anni
dovette preoccuparsi del mantenimento della moglie Virginia, sposata nel 1828, ed ebbe il dolore
della perdita del figlio primogenito. La produzione fu spesso di routine. Fu nel 1830, con Anna Bolena, scritta in soli trenta giorni
per il Teatro Carcano di Milano,
che Donizetti ebbe il primo grande successo internazionale, mostrando una piena
maturità artistica. Di qui in poi, la vita professionale di Donizetti proseguì
a gonfie vele, anche se non mancarono i fiaschi, intrecciati a vicende
famigliari che non gli risparmiarono alcun dolore, spesso nei momenti di
maggior gloria. Ricevette poi l'invito di Rossini a scrivere un'opera
per il Théâtre des Italiens di Parigi: nacque
il Marin Faliero, su libretto
di Bidera (da Byron), risistemato da Ruffini, che andò in scena il 12 marzo 1835 senza successo. Nel
1982, al Teatro San Carlo di Napoli, vi fu la prima
di Lucia di Lammermoor, su versi di Salvadore Cammarano, che fu un grandissimo
trionfo. L'opera è considerata un capolavoro, come al solito scritto in tempi
ristrettissimi (trentasei giorni). Presto
Donizetti si decise a lasciare Napoli: i problemi con la censura per il Poliuto
(che alla fine non andò in scena, e fu rappresentato solo dopo la morte del
compositore) e la mancata nomina a direttore del Conservatorio (di cui era
direttore effettivo) sicuramente lo rinsaldarono nei suoi propositi, e in
ottobre era già a Parigi.
Qui era ad accoglierlo l'amico Michele Accursi. In quegli anni le sue
opere furono rappresentate ovunque, sia in traduzione che in lingua originale presso
il Théâtre des Italiens. Scrisse La fille du Régiment, che debuttò
all'Opéra-Comique nel febbraio del 1840,
e preparò una versione francese del Poliuto, intitolata Les martyrs.
L'anno seguente scrisse La
favorita, riciclando pagine di un'opera mai conclusa: L'ange du Nisida. Ricevette anche
l'importante nomina a cavaliere dell'Ordine di S. Silvestro da parte di papa Gregorio XVI,
ma fu l'invito di Rossini a dirigere l'esecuzione dello Stabat Mater
a Bologna l'avvenimento più significativo. Quindi, grazie ad una
raccomandazione per Metternich vergata da Rossini stesso, Donizetti
partì alla volta di Vienna,
dove il 19 maggio presentò Linda di Chamounix. Si era ormai
giunti al 1843,
anno di composizione del Don Pasquale.
Furono gli ultimi momenti di grande fervore creativo, poi la malattia ebbe il
sopravvento. Dalla penna del Maestro uscirono ancora Dom Sebastien,
che ottenne grande successo a Parigi, e Caterina
Cornaro, che fu fischiata, con gran delusione di Donizetti, a Napoli.
Poi la pazzia,
provocata dalla sifilide,
lo fece rinchiudere nel manicomio di Ivry, da cui uscì solo qualche mese prima
della morte.
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